Produrre immaginari. Intervista a Silvia Bigi

Silvia Bigi è un’artista che con il proprio lavoro indaga la relazione fra memorie collettive e private, e lo fa utilizzando diversi linguaggi, fra cui fotografia, installazioni, scultura, suono, video e tessuto.

Le sue ricerche si muovono all’interno dell’intricata questione della differenza fra reale e realtà, nel tentativo di portare alla luce quegli automatismi ripetitivi del nostro quotidiano che influenzano e determinano il nostro vivere.

In occasione della sua partecipazione al Cortona On The Move di quest’anno, con il progetto inedito Urtümliches Bild, abbiamo chiesto a Silvia di accompagnarci all’interno delle sue visioni. Ne è nata questa intervista.

Qual è la tua personale storia della fotografia?
La mia storia della fotografia si intreccia con quella dell’immagine in senso più ampio, ed è inseparabile da quella dell’arte. Credo che una storia della fotografia, per quanto necessaria, sia funzionale soprattutto alla conoscenza dei meccanismi e dei linguaggi del medium. Nella mia pratica, tuttavia, mi servo della fotografia come strumento fra i tanti possibili e la utilizzo spesso in modo “improprio”, guardando con particolare attenzione a chi ne ha esplorato i limiti. Rivolgendomi nello specifico alla storia dell’immagine fotografica, il mio sguardo cade sulle primissime sperimentazioni materiche (parliamo quindi della seconda metà dell’800) per poi passare alle avanguardie storiche, e ancora nuova attenzione agli anni Sessanta e Settanta del Novecento, anni di profonde rivoluzioni, e infine a tutta la contemporaneità. In sintesi, la mia storia della fotografia è una storia di conflitti, rotture, superamenti.

Quale passo del tuo percorso di formazione è stato determinante in termini di visione artistica della fotografia?
Sicuramente il primo grande stimolo è stato il corso di storia della fotografia tenuto da Claudio Marra, al primo anno di università. Poi l’incontro, nel corso degli anni, con artisti e critici che hanno attivato in me piccoli cortocircuiti, trasformando il mio pensiero e il mio sguardo.

I tuoi lavori raccontano di una poetica in continua mutazione, dove spesso la fotografia cede il passo ad una più complessa ricerca sull’immagine, ti definisci fotografa o artista?
Sicuramente artista. Mi imbarazza quando vengo definita fotografa, considerando il fatto che non prendo una macchina fotografica fra le mani da diverso tempo (se non per fotografare i miei lavori in fase di allestimento); lavoro spesso, soprattutto negli ultimi anni, con immagini già esistenti o con immagini prodotte al di là del mio controllo. Più che “produttrice di immagini” mi sento “produttrice di immaginari”.

© Silvia Bigi, Family Album, dalla serie From dust you came (and to dust you shall return), 2020

Le tue opere possono ricondurre a due categorie di interesse ossia il lavoro sulla memoria (ad esempio Cicatrici) e quello sulla materia (ad esempio From dust you came (and to dust you shall return)). Come si conciliano e come dialogano tra loro questi due aspetti?
In verità i lavori che citi parlano entrambi della memoria e dei suoi processi. In Cicatrici parto da una storia drammatica della mia infanzia per tracciare una riflessione sugli enormi cambiamenti che la fotografia ha subito negli ultimi 35 anni, mentre in From dust you came parlo della nostra relazione con la memoria partendo dal mio archivio fotografico familiare, dissolvendolo fino a renderlo polvere, attivando un pensiero critico sul senso della nostra stessa esistenza. La formalizzazione dei miei lavori cambia sempre, sperimento e dò voce al mio pensiero attraverso le molteplici possibilità dell’arte, ma il nucleo tematico della mia ricerca rimane costante.

Le limitazioni imposte dalla pandemia attualmente in corso sono state per te penalizzanti, e cosa ha significato partecipare ad un festival così importante (Cortona On the Move) in questo momento storico?
L’invito da parte di Ilaria Campioli e Daniele De Luigi a realizzare un progetto inedito per COTM grazie al bando Sinergie ha significato tanto, soprattutto in un momento profondamente critico come quello attraversato (e che stiamo tuttora attraversando). Mi ha dato la possibilità di concedermi il tempo per riflettere su come la pandemia stesse trasformando le nostre vite, concentrandomi sui suoi segni invisibili.

Nel tuo progetto esposto a Cortona On The Move urtümliches Bild traduci dei sogni in immagini utilizzando un algoritmo. Come è nata questa idea e come si è sviluppata?
Vivo e lavoro a Milano, e nonostante la città deserta davanti ai miei occhi non riuscivo a scattare una sola fotografia. Ero semplicemente incapace di trovare risposte a ciò che stavo vivendo guardando la superficie esteriore delle cose. Durante le prime notti di confinamento ero rimasta sorpresa dalla qualità e intensità dei miei sogni, di cui ricordavo ogni dettaglio e che mostravano già i tracce di ciò che stava accadendo là fuori. Mi sono chiesta dunque se anche per le altre persone fosse stato così, immaginando che i sogni e la loro simbologia occulta fossero già in effetti una sorta di sismografo, in grado di percepire – prima che il pensiero cosciente – i segni delle profonde trasformazioni sociali in atto. Ho deciso, dato il mio stato di forzata immobilità, di approfittare della rete e lanciare questa domanda ad ogni angolo del pianeta, intessendo un sottile filo rosso che unisse ogni sognatore o sognatrice. Ho raccolto 39 sogni, raccontati in molte lingue. L’utilizzo dell’algoritmo nasce dal bisogno di neutralizzare il mio giudizio rispetto a ciò che raccoglievo: ho affidato tutto all’inconscio tecnologico evitando ogni razionalizzazione. Inoltre credo che le immagini prodotte dall’intelligenza artificiale, al di là delle evidenti imperfezioni e lacune, siano molto più creative e libere di qualsiasi immagine avrei mai potuto pensare e produrre attraverso la mia macchina fotografica.

Questo atto post fotografico richiede da parte dell’osservatore un impegno maggiore rispetto a delle classiche fotografie, come è stata accolta dal pubblico?
Ero preoccupata di come sarebbe stato recepito in un contesto di fotografia “pura” come quello di COTM e invece ho ricevuto molti messaggi di apprezzamento per il modo in cui la tematica era stata affrontata. Molti mi dicevano che avevano apprezzato in particolare la capacità del lavoro di attivare una riflessione sulla situazione attuale senza tuttavia far rivivere la drammaticità della pandemia – che pure già conoscevano molto bene. Ho fiducia nelle persone, credo che spesso la loro sensibilità sia sottovalutata.

Fra le tue attività proponi i “Percorsi Fotosensibili”, laboratori centrati sulla relazione fra fotografia e parola e sull’utilizzo di immagini già esistenti. Ce ne vuoi parlare?
Percorsi Fotosensibili è una scuola di fotografia creativa interamente online nata nel 2016, quando ho deciso di lasciare il mio studio a Ravenna, allora votato alla diffusione di una cultura fotografica alternativa, dove ospitavo autori, rassegne, mostre e laboratori. Sentendo l’urgenza di “smaterializzare” la mia presenza mantenendo tuttavia il contatto con una community che si stava già formando, ho pensato di lavorare interamente sul web creando una piattaforma di incontro, confronto, stimolo, dove ogni studente potesse intessere relazioni e scoprire il proprio potenziale artistico, a prescindere da dove si trovasse. All’epoca non avevo idea di quanto questa scelta sarebbe stata lungimirante, oggi che la nostra vita si svolge quasi interamente davanti ad uno schermo. Nei mesi di pandemia ho ampliato il mio programma, che oggi spazia su tanti temi e propone laboratori di natura e durata differenti, tutti uniti nella stessa visione di fotografia come pratica artistica e sull’idea che ogni studente sia unico e che il suo percorso debba per questo essere studiato sulla sue personali esigenze.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
Continuare ad insegnare e parallelamente portare avanti la mia ricerca, due cose che nella mia vita sono in continua simbiosi. Forse prendere una seconda laurea o un master: non voglio smettere di studiare, solo così posso mantenere la mia mente vigile e aperta a nuovi scenari.

Mirko Bonfanti

http://www.silviabigi.com/
https://www.percorsifotosensibili.com/